martedì 21 agosto 2012

In Porto Veritas


Portogallo.
Maggio 2012.



Un momento che ho aspettato a lungo, dopo giorni di progetti che sembravano non andare da nessuna parte e telefonate a vuoto. Ma ce l'abbiamo fatta. Il giorno della partenza è arrivato in punta di piedi e ha dato una rinfrescata ai pensieri assopiti, immergendomi in una storia di tradizioni tramandate, tra i sentieri che percorrono lentamente i vigneti, in luoghi dove un bicchiere di Porto ha il sapore di amicizia.
La genuinità delle cose la ritrovo nel verde del Portogallo, che con il suo modo di vivere che scorre ancora lento e rurale, mi porta a riflettere sui valori della vita e sul mio percorso.

Tra i vigneti lungo il fiume Douro (il fiume d'oro) mi sono trovata a pensare a quel freneticare che ritma il mio quotidiano ed alle aspettative per trovare la tanto aspirata "destinazione". In quei vigneti, guardandomi attorno, in un luogo dove la semplicità regna sovrana, per un istante mi sembra davvero di aver trovato tutto.

Non sono una gran amante del vino e mai avrei pensato di trovare così affascinante e piacevole tale scoperta. Ma il Porto, in questa quinta immersa nel verde, mi insegna (cosa non fanno un paio di bicchieri di vino!):

Per apprezzare pienamente qualcosa bisogna saperlo coltivare con il cuore.
Arriviamo dopo chilometri di stradine e tornanti nella meravigliosa valle del Douro, una regione aspra e montagnosa che incornicia il corso del fiume. Abbarbicati sui pendii le storiche Quinte, tra cui quella di Fonseca che decidiamo di visitare.
Nonostante il territorio sia scosceso è l'unica regione dove possono essere coltivate le uve per produrre il Porto, dove infatti, grazie al terreno ed al clima, i grappoli acquisiscono quelle caratteristiche organolettiche uniche al mondo.
Non è semplice costruire e mantenere dei vigneti su questi pendii. Non è semplice trovare la perfetta combinazione di vitigni. Ma la volontà di questi agricoltori e la voglia di creare qualcosa di speciale fa si che tutto ciò accada.

Impara dalle esperienze passate
Il vino Porto, dolce e corposo che conosciamo e amiamo oggi, si è evoluto nel corso di diversi secoli. Nei primi anni del 1600, per soddisfare la richiesta di importazione da parte del popolo britannico di vino ed altri prodotti europei, iniziò uno scambio di merci tra cui frutta secca, olio d'oliva e vino. I vini commercializzati inizialmente erano vini leggeri, secchi, che non sopportavano bene il viaggio verso il Regno Unito. Questi vini dal 9-10% in volume alcolico, erano trasportati botti, e soffrivano durante il viaggio di forti sbalzi termici,ossidazione e contaminazioni. I commercianti quindi iniziarono ad esportare vini più robusti provenienti dalla valle del Douro.
Durante il trasporto però la fermentazione continuava, e di conseguenza per risolvere il problema, fu aggiunto al vino del brandy con lo scopo di bloccarne la fermentazione e stabilizzarlo durante il viaggio (oggi viene aggiunta grappa di vino al mosto).

Tratta chi ti è a cuore con il dovuto rispetto
Verso settembre le uve, maturate con l'intenso calore estivo, vengono vendemmiate a mano e successivamente pigiate nei "lagares"(grandi recipienti di pietra) dai vendemmiatori. Questo procedimento secolare continua ad essere il migliore per estrarre colore ed aroma dalle bucce dell'uva.

Allarga i tuoi orizzonti
Le uve, mostate vengono fatte maturare per due anni in grandi tini e trasportate a Vila Nova de Gaia, nel distretto di Oporto, dove il clima mite della costa atlantica aiuta a mantenere la freschezza e l'umidità delle cantine. Qui, la fermentazione continua a seconda del tipo di vino, alcuni continueranno a maturare nei grandi tini, altri verranno messi in piccole botti, ed altri ancora continueranno la loro fermentazione in bottiglia.

Sii paziente, credici e persevera e troverai il sogno "Vintange" (e se non va bene quest'anno, sia mai che l'anno prossimo sia migliore...a volte non tutto dipende da te!)

Il carattere e lo stile di un Porto dipendono non solo dall'origine delle uve e dalla vinificazione, ma anche dal metodo di invecchiamento. I Porto principalmente son divisi in due gruppi: quelli che invecchiano nel legno e quelli che invecchiano in bottiglia. Dei primi alcuni come il Ruby e il LBV (LateBottledVintage) invecchiano in tini di grandi capacità dove il vino mantiene il suo carattere vigoroso e fruttato. Altri come i Tawnies iniziano in grandi tini e successivamente vengono spostati ad invecchiare in piccole botti di rovere per un periodo che varia dai 10 ai 40 anni. Da questo lungo processo di invecchiamento si ottengono vini di colore più tenue, ma da un sapore ricchissimo, il classico Porto per intenderci.
Ed infine il Vintage.
Un annata Vintage è il sogno di ogni viticoltore della valle del Douro.

Il Vintage è il più pregiato tra i vari tipi di Porto: viene fatto fermentare due anni nei tini come tutti gli altri, e successivamente imbottigliato. Nel vetro scuro la fermentazione continua per decadi (minimo 20 anni), rendendo il vino sempre più speciale. Le annate Vintange vengono decise da una commissione nazionale, che in base a caratteristiche organolettiche specifiche del vino, ne riconoscerà la dote.



Le bottiglie di annate Vintage alla cantina Graham's a Porto vengono conservate nei sotterranei come un tesoro, li dove la temperatura scende e l'umidità è ideale.
Si procede lungo un corridoio ad arcate, sotto le quali le bottiglie sono ordinate per anno e coricate per mantenere il tappo di sughero portoghese umido ed impedire all'aria di entrare.
I viticoltori ogni anno impiegano energia e sacrificio dando il massimo per ottenere un buon vino; il loro impegno alle volte è premiato, ma ci sono momenti in cui per diverse ragioni (anche semplicemente il destino) non riescono ad ottenere quello a cui ambiscono. Il sogno Vintage.
Ma con tempo, perseveranza e buona volontà otterranno sicuramente grandi gratificazioni.
L'impegno messo per realizzare il proprio sogno sarà tale che a prescindere dalla riuscita finale il percorso sarà già una vittoria, e se durante la strada qualcosa dovesse cambiare, non per questo dovrà essere un dramma. Ci saranno sempre un Tawny, un Ruby, o LBV che renderanno un annata speciale.









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giovedì 12 luglio 2012

Una Santa ragione del mio vivere Zingaro

Prima che un esperienza inizi a sbiadirsi è meglio lasciarne le tracce per poterla ricordare più a lungo nel tempo. Ma questa con i suoi colori squillanti e chiassosi, tra i suoni di chitarre e ciondoli zigani, ritmerà ancora per un po’ i miei pigri pensieri.

Dalle paludi con i fenicotteri rosa,  acqua stagna e un silenzio a suo modo affascinante, d’un tratto arriviamo a Saintes Marie de la Mer, circondati da roulotte e camper..lungo la strada, sui marciapiedi, in ampi parcheggi lasciati vuoti tutto l’anno, che ritrovano in questi giorni un po’ di vita grazie agli zingari che accorrono in paese a festeggiare Santa Sara.

Santa Sara la Nera è infatti la patrona dei Gitani e viene festeggiata il 24 di Maggio. In vita fu la serva fedele di Maria Salomè e Maria Iosè, entrambe a vegliare assieme a Maria Maddalena sotto la croce di Gesù Cristo e tra le prime a ricevere l'annuncio della resurrezione assieme all'incarico di diffondere la buona notizia. Una racconto sulla vita delle sante narra che, per via delle persecuzioni contro i Cristiani seguite alla morte di Gesù, le tre Marie (Salomè, Iosè e Maddalena) furono arrestate ed imbarcate su una nave senza remi e senza vele, la quale, guidata dalla Provvidenza, raggiunse le rive di Saintes-Maries-de-la-Mer. Nella chiesa del paesino, in un antico baule in legno decorato, sono conservate tra le reliquie, anche i resti dell’imbarcazione. La chiesa è affascinante, ai miei occhi piratesca, i muri sono brulli, con mattoni non allineati che movimentano le pareti con ombre sconnesse. Sopra l'altare una corda spessa, come quelle per attraccare le barche al molo, crea una cascata di mazzi di fiori. Vengo solo ora a scoprire che la Chiesa fu costruita proprio nel XI secolo come fortezza che serviva come torre di avvistamento per proteggere gli abitanti dai pirati saraceni che allora imperversavano nella regione. Al suo interno è presente un pozzo di acqua dolce, e sul tetto c'è un passaggio per la ronda con feritoie e merli.


La città è un fermento di persone e colori. La gente si accalca per vedere, un gruppo di persone si è raccolto proprio sul tetto della chiesa dove la visuale della processione deve essere unica. L'atmosfera è solenne e stimola la curiosità di chi, pur non essendo gitano, si trova sotto il sole di un maggio particolarmente caldo ad aspettare impaziente la fine della Santa Messa, per riuscire a vedere la sfilata di zingare ed il percorso dei guardiani che aspettano di scortare la Santa ancora una volta verso il mare, rievocando così il suo arrivo in Francia.

Dalla chiesa gli altoparlanti rimbombano: 
Vive le Saintes Marie! Vive le Sainte Sara!

La statua della Santa esce dalla Chiesa, avvolta da strati di seta e altri tessuti. Paramenti artigianali raffiguranti l'immagine della Santa la accompagnano lungo il percorso e la folla la segue invocando il suo nome. La processione è lunga e compatta, ritmata da cori che la cantano di gioia. Quello che ho sentito è un trasporto in questo fanatismo religioso che non mi appartiene ma mi incuriosisce facendomi imparare nuove tradizioni e nuovi credo. Arrivata sulle rive del Mediterraneo, incorniciata da un mare di folla, Santa Sara viene benedetta mentre delle bambine con i loro vestiti da festa giocano nell'acqua. Poi di corsa tutti a toccare, e farsi benedire dalla Santa che ha passo lento accompagnata dai portantini torna in Chiesa dove tra canti e invocazioni viene riposta vicino alla sua reliquia nella cripta, oggi piena di candele di ogni colore e gremita di persone che spingono per poterla baciare.



Mentre scrivo mi rendo conto che vorrei approfondire un sacco di cose! Per esempio il ruolo dei guardiani o la mia perplessità nel vedere come sia il popolo gitano che la città stessa sia in realtà più spagnoleggiante che francese.

A Sainte Marie de la Mer infatti, la sera le chitarre suonano ritmi di flamenco e le ragazze con i loro vestiti da flamenco ballano ritmando il tempo battendo le mani. Si mangia paella, si sorseggia sangria (e birra in lattina dei mini market) ed in paese si iniziano i preparativi per la corrida. Una corrida più umana forse, dove l'obiettivo è quello di "rubare" una coccarda appesa sul petto del toro. Il toro non muore nella corrida...ma finisce comunque in tavola sotto forma di salame, salsiccia o spezzatino...
Il ruolo dei guardiani, che forse ora sono solo una parte del folclore locale , era quello di gestire le mandrie dei tori, sempre sui loro cavalli bianchi (altro importante simbolo della Camargue) che a loro volta erano utilizzati per i lavori agricoli. E i tipici aironi rosa? Sono una meraviglia, e curioso è stato scoprire che le loro piume sono colorate perchè si nutrono di un "gambero"color rosa che popola le saline, e conferisce anche alle acque l'affascinante colore.


La sera si ascoltano le musiche di chitarre e fisarmoniche, le donne balla muovendosi sinuose, e i bambini schiamazzano. Il giorno seguente la processione si ripete con le statue delle due Marie, ma noi ci spostiamo verso Arles dove Van Gogh voleva fondare una comunità di artisti.

Mi piace vedere la gente che crede in qualcosa, adoro i rituali e cercare di comprendere in che modo arricchiscono la vita delle persone. Se vi capita, il 24 di maggio andate a rendere omaggio a Santa Sara, vi sentirete per poco parte di un nuovo mondo!



















giovedì 29 marzo 2012

My name is Ganesh

Voglia di India, che ti prende una sabato sera mentre ti rendi conto di essere fuori luogo.
Ci si alza il mattino seguente con la voglia di andare.
Ci si prepara, anima e corpo, e si parte.
Si, così da un giorno all'altro, senza pensarci troppo.
Fuori dalla porta due nuovi compagni di viaggio che come me hanno bisogno di scoprire! Via! andiamo! Ci sono giorni in cui sembra proprio che il mondo giri a nostro favore.
Il viaggio è entusiasmante e avventuroso.
Incontriamo strani personaggi: Lui, uomo senza terra, tetto e meta si avvicina. Parliamo un po', è un personaggio decisamente fuori dal comune. Tiene a precisare che apprezza il mio modo di vestire...e io mi chiedo se forse non è ora di tenersi un pochino..e si che mi ero anche impegnata nella preparazione pre-viaggio!
L'India si avvicina, l'emozione cresce e le aspettative sono alte!!!
Ecco il tempio.

 

Che meraviglia camminare scalzi.  Le colonne di marmo intagliato a mano del tempio ritmano i miei sguardi sorpresi. Cartoline di Ganesh, Anuman, ciondoli, rosari e incensi.Un odore intenso.
Un indiano ci si avvicina e con l'orgoglio e la fierezza di un bambino ci fa notare i dettagli della costruzione e ci racconta dell'impegno con cui è stata costruita.

Un giretto al mercato appena fuori dal tempio, tra corridoi di spezie, farine e lenticchie dai mille colori.
Poi un thali e una masala dosa per ristorarci..mangiamo con le mani, intorno tutto è super pacchiano.




Ebbene si, Londra offre anche questo! 206 e di nuovo in Odessa road.
Veloce e rapido, alla fine l'India non è poi così lontana!


Ndr. Il BAPS Shri Swaminarayan Madir è il tempio indiano (al di fuori dell'India) più grande del mondo. E' stato costruito e decorato interamente a mano da volontari Indiani tra il 1993 e il 1995. La finezza e la magia che ricreano all'interno del tempio i rilievi scolpiti in marmo è spettacolare, e la cupula con la luce che vi penetra rivela un gioco di ombre e riflessi da togliere il fiato.
La sruttura al di fuori sembra molto più imponente di quello che effettivamente è all'interno, inoltre è opportuno andarci durante orari in cui sono in atto delle funzioni, se si vuole assistere alla vita attiva del tempio, cioè di solito intorno alle 15,30 quando il bramino risveglia le statue degli dei. Madir infatti signica "Casa di Dio". In questo tempio infatti le statue rappresentanti le dininità indiane vivono ed, accudite dai guardiani, nell'arco della giornata vengo sfamante, lavate vestite dopo essere state appunto risvegliate dal sonno. Il tempio è conservato in maniera eccelsa: pavimenti asciutti e puliti, niente petali o animali in giro e colonne protette dal plexiglass ad altezza uomo..ma siamo a Londra, e certi dettagli sembrano volertelo proprio ricordare!

martedì 13 marzo 2012

"These boots are made for walking"



Un invito per un sunday roast non si rifiuta mai.
Londra è una grande metropoli, offre qualsiasi cosa ma, in quanto a genuinità, diciamo che lascia un po' a desiderare. 
Ci provano, e lo fanno davvero, ma i parchi non sono campi, gli scoiattoli sono più furbi di noi umani e riconoscono quandono li si prende per i fondelli tentando di attirarli con la mano socchiusa.. e i rumori, quelli non si possono proprio nascondere!

Domenica scorsa vengo invitata da un amica a casa sua nella country side, per un pranzo domenicale a regola d'arte e per veder quell'Inghilterra fatta di prati infiniti, tranquillità e puddles che ancora non avevo visto.
Si parte da London Bridge la mattina sul tardi e già dopo 15 minuti di viaggio in treno il paesaggio dal finestrino inizia a diradarsi: tra i palazzi vittoriani e quelli ultra moderni (tipico mix della east end), ampi e verdi prati prendono la meglio sulla città.

Tram tram, tram tram...il treno va, le nuvole si accumulano nel cielo ricche di pioggia e dopo poco si arriva a Sevenoaks un paese del Kent, meta finale del mio viaggio sui binari.
Da li, in macchina partiamo verso Hever.
Mi accoglie all'entrata Bella, il cagnolone, poi Alice e mi introduce la famiglia. Prepariamo il "chicken" (già imbottito di cipolle e limone) massaggiandolo con burro salato e avvolgendolo in una coperta di bacon, poi lo inforniamo...Il nostro pollo richiede 40 minuti di cottura...giusto il tempo per una camminata e una Ale al local. (e che Local!)
Indosso i miei Wellington boots e ci avviamo per i campi, mentre una pioggerella rende tutto so british che mi sembra quasi di essere in un racconto. Con gli stivali mi tuffo nelle pozzanghere, l'aria è fresca, le pecore fanno da sfondo alla nostra passeggiata, mentre Bella si diverte a farsi un bagno dentro il canale.
Il local pub è "The Wheatsheaf".
"Behind the pretty hung-tile exterior is a small Tudor hall, its origins are 14th century and it’s though to have been a hunting lodge owned by HenryV. Whatever its provenance it’s a beautiful building with a high oak vaulted frame, open studding and exposed brickwork. At its centre is a sturdy chimney stack with large open fireplaces either side. In the main bar the stone mantle is signed and dated 1607.
The walls are covered in a collection of weapons, farm implements, stuffed animals, musical instruments and exotic unidentified items, possibly African. All this ‘stuff’ adds to the relaxed and cosy atmosphere.  "
L'ambiente è caldo ed accogliente, un grande camino che si apre su due stanze, tavoli in legno e cani. Nei pub "fuori porta" si trova sempre una ciotola d'acqua fresca per i cani e il manager oggi porta a Bella some treats per coccolarla un po, alla fine fuori piove e anche lei si merita un po' di ristoro. 
Si beve e si chiacchera. Iniziamo ad intrattenerci con i signori sulla sessantina che siedono al tavolo accanto al nostro..E qui, nel Kent ho la prova che gli inglesi non sono così chiusi e freddi come si dice comunemente ( i londinesi un po' si...). Sfato il luogo comune e parlo liberamente con tutti. Sono una straniera in kent oggi faccio pure folklore! Una giuoia per il mio inglese, poi quando la birra scende amarognola e il camino scoppietta tutto sembra più facile.
I minuti passano ed il nostro pollo ci aspetta caldo e croccante nel forno. (Yummy)

Il Sunday Roast è un piatto tradizionale britannico a base di carne servito generalmente la domenica o durante le principali festività con alcune piccole varianti. E' composto da carne (che può essere chicken, pork, beef, lamb, nelle feste natalizie turkey), patate al forno, parsnip,  accompagnato anche da verdure bollite e da salse (il famoso quarto ingrediente assurdo per cui è famosa la cucina inglese) che variano tra Horseradish sauce(rafano), Apple sauce, Cranberry sauce, Breadsauce, Mint sauce e chi più ne ha più ne metta. Parte fondamentale del Sunday roast è lo Yorkshire pudding che deve essere sommerso insieme al resto del piatto da un abbondande colata di succulenta Gravy
La nascita del piatto va rintracciata nello Yorkshire all'epoca della Rivoluzione industriale quando la carne non si mangiava tutti i giorni: la domenica, giorno di festa della settimana, dopo la funzione religiosa, le famiglie si radunavano e mangiavano carne.
Rientriamo i casa, gli stivali vengono messi ad asciugare su una rastrelliera che si trova fuori dalla porta principale. La tavola è apparecchiata a festa e il padre taglia il pollo. Sono finita in un episodio di Seven Heaven versione moderna e non me ne sono accorta? 



Durante il pomeriggio, con la panza piena, andiamo a vedere la zona di Hever Castle.  
Ci incamminiamo passando in un fitto bosco. In una radura abbracciata e protetta dalle piante, delle grotte sono state scavate secoli fa a scalpello nella roccia. Si vedono le linee lasciate dal duro lavor manuale, le pareti imperfette e tanto buoio. Ci sono tre ingressi ed una incisione su di una parete dice qualcosa tipo: “finchè il re non mi troverà sarò salvo”...è parzialmente cancellata e coperta di muschio. Due ingressi sono accessibili e internamente collegati tra di loro.

Entriamo con una torcia.  Dopo una piccola discesa arriviamo ad una stanza, dove una grande roccia spostata la cui sagoma combacia perfettamente con l'entrata è appoggiata ad una parete. Mi guardo intorno ma purtroppo, come mi capita spesso quando mi sale l'adrenalina, non ricordo cosa ho visto esattamente nella stanza! Essere al centro di una grotta nel buoio totale non è cosa che mi capita tutti i giorni.. Continuando a camminare per il corridoio arriviamo a delle scale che portano verso l'alto, sempre solpite nella roccia...infondo alle scale una luce...e un uscita, bassa e stretta, tanto che dobbiamo andare a carponi.
 La terza entrata è parzialmente sotterrata, ma dalla foto si vede un lungo corridoio. Voci dicono che sia un passaggio segreto per Hever Castle che passa sotto il lago.
Queste grotte sono state sicuramente un nascondiglio secoli addietro, forse per chi viveva nel castello o per qualche progioniero, ma quasi certamente utilizzate anche come base o come infermeria durante la seconda guerra mondiale.



Il Castello al di la dal lago apparteneva ai poderi di Henry VIII, ed è li che iniziò a corteggiare Anne Boleyn, che divenne successivamente la sua seconda moglie. La storia di questo regnante è complicata quanto affisciante. La sua ricerca di un erede maschio ( o il suo spirito libertino) lo hanno portato ad avere 6 consorti. 
Nel Castello, nel XVI secolo, hanno vissuto Henry VIII and Anne Boleyn. Henry era già sposato con Catherine of Aragon in prime nozze, e pur avendo avuto un affair con la sorella di Anne, decise di voler sposare quest'ultima e per farlo trovò il modo di annullare il precedente matrimonio, cambiando così la storia religiosa e politica dell'Inghilterra, nominandosi Capo Supremo della Chiesa d'Inghilterra, togliendo il potere decisionale sulla chiesa anglosassone al Papa, che si opponeva al divorzio.
Nel 1533 si celebrarono le nozze di Enrico e di Anna Bolena.
Alice racconta, mentre camminiamo in riva al lago del pegno d'amore che Henry fece ad Anne regalandole due cigni come simbolo di amore eterno. La storia vuole, che quando la loro relazione finì ed Anne decapitata perchè accusata di stregoneria venne decapita, Henry fece uccidere anche il cigno femmina per scindere quel patto, e se lo mangiò! (ognuno reagisce alle separazioni a modo suo...!)
Guardo il lago, ed il cigno è uno solo.. adoro come gli inglesi si radichino su certe tradizioni, e si siano ostinati nei secoli a lasciare un solo cigno nel lago. 
Camminiamo lungo le rive, mentre il cielo si fa cupo, la sera arriva anche in Kent e noi ci troviamo abusivamente in un parco dove si parla di decapitazioni e misteri! nice!
Ci riavviamo con la pila verso le macchine, arrivare al castello è impossibile.
Giusto il tempo per una pinta al pub per ristorarci e poi via di nuovo verso la città, questa volta arricchita nello spirito di aria di campagna, di casa e storie interessanti da portare con me!

venerdì 2 marzo 2012

Un giro in CIAO con David Hockney

Andare alla Royal Academy of art e ritornare sul Ciao.
Io, con il mio bomber tamarro di dieci taglie in più della Gas... rigorosamente blu (perchè ci fu il periodo in cui vedevo solo blu).
Il rumore del motore, il cigolio del cestino sul portapacchi con le viti allentate.
Il vento in faccia e con il collo che si ritira nel tentativo di trovare un po' di tepore...alla fine anche se è settembre alle 7.30 di mattina si gela.
E la curva più bella del mondo.

North Yorkshire, 1997
Eppure David Hockney non faceva la campagna dell'uva con me. Che sia stato ad Albareto Piacentino? O che il profumo di campagna sia uguale in Inghilterra come in Italia.
O che sia l'amore per le proprie radici che ci porta a riconoscere certi luoghi?
Fattostà che il buon David oggi mi riporta a viaggiare verso casa. Con il mio vecchio Ciao, ora diventato un carretto per il letame...ma questa è un altra storia.


La mostra è alla Royal Academy of Art, in London.
Avevo visto Hockey anni fa durante l'inaugurazione di un anno accademico a Firenze, ma non lo consoscevo ancora come artista e anche quello che segue, è solo un racconto di una mostra vista una domenica pomeriggio.

Nelle prima sala le pareti sono occupate da 4 enormi dipinti. Ci si trova sempre spiazzati all'inizio di una mostra perchè non si è ancora ben immersi nella cosa, e si deve un po' capire come procedrà  e dove ci porterà l'artista.
Pearlblossom Highway, 11-18 April 1986
E' così che veniamo introdotti in un percorso. La cosa interessante del percorso di Hockney e del suo studio paesaggistico, che inizia con un landscape americano, è l'utilizzo del mezzo fotografico per ricreare l'immagine a 360° con ogni dettaglio.
L'artista crea dei collage giganti di fotografie, una serie di panoramiche costituite da piccole immagine unite tra loro. Il collage è stato portato in arte dal cubismo e sono sicura che lo studio frammentato dell'immagine può essere una curiosità partita da quella direzione.
Tutte questo discorso di foto negli anni successivi viene sviluppato in tele diverse. I suoi lavori sono la combinazione di tante tele affiancate l'una all'altra che ricreano questi paesaggi immensi.
Le forme naturalistiche variano lungo il suo percorso artistico: gli studi iniziali sono disegni e dipinti più dettagliati e vicini alla riproduzione di un immagine reale poi, negli anni, le sagome si arrotondano e diventano più sommarie, semplici ed immediate.

The arrival of the spring in WoldGate, east Yorkshire in 2011 (twenty-eleven)
Hockney gira per lo Yorkshire, si perde per i campi ed abbozza a carboncino, poi ricrea ad olio quello che la mente gli rimanda, ed i colori.. i colori esplodono!
I paesaggi con gli anni diventano di un verde acceso, gli alberi si fanno blu e le strade fuxia; grandi tronchi gialli contrastano la composizione di colori e ti lasciano perdere nell'osservazione.
Penso a Monet per gli studi dello stesso scorcio in diversi momenti del giorno, ricordo Van Gogh sia per i colori forti ed accesi  che per quegli alberi che in lontananza pare vogliano risucchiare il sentiero in un vortice blu.
Winter Timber, 2009

E così mi perdo, in quella strada. Dopo essere passata per la "curva più bella del mondo" mi ritrovo a quel bivio.
I colori sono così belli che mi sa che non sceglierò.
Io mi fermo a guardare.